L’assegnazione della casa coniugale al genitore presso cui il minore è collocato in via prevalente, non è automatica: occorre valutare il concreto interesse del minore a conservare l’habitat domestico, comparandolo con quello attuale del genitore non collocatario a continuare a vivere nella casa familiare.
La Corte d’Appello di Trieste con il decreto n. 25, depositato il 6 marzo, contrariamente alla giurisprudenza prevalente, esclude l’assegnazione automatica della casa al genitore collocatario del minore, precisando che possono esistere interessi prevalenti del genitore non collocatario da soddisfare con priorità.
Nel caso di specie, posto l’affido condiviso del minore, la casa era stata assegnata dal Presidente del Tribunale alla madre presso cui la figlia undicenne era collocata; il padre, non vedente, proponeva reclamo in Corte d’Appello ai sensi dell’art. 708, comma 4, c.p.c.
I giudici riconoscono al padre il diritto di continuare a vivere nella casa familiare ma al contempo elevando il suo contributo al mantenimento della figlia minore.
La Corte d’Appello è attenta a rispettare le esigenze del padre disabile. Esamina compiutamente tutte le peculiarità del caso di specie (cecità completa dell’uomo che da sempre viveva nella casa, avente un giardino peraltro perfetto a soddisfare i bisogni del cane guida di cui l’uomo si avvaleva per ogni spostamento; indiscutibili problemi di gestione della sua vita quotidiana determinati dal tempo necessario per ambientarsi in una nuova casa e impossibilità per un lunghissimo periodo di recarsi al lavoro autonomamente posto che il cane accompagnatore avrebbe dovuto apprendere un nuovo percorso casa-lavoro), che finiscono per attribuire all’interesse del padre disabile a permanere nella casa una estrema rilevanza.
Contrapposto a tale interesse, è quello della figlia undicenne a conservare l’habitat domestico; i Giudici esaminano tutte le caratteristiche del caso in esame (in particolare, l’età della minore è tale da consentirle di comprendere quanto stia succedendo ai propri genitori, e soprattutto di rendersi conto delle condizioni di cecità assoluta del padre e dei problemi che allo stesso deriverebbero dall’abbandono della casa ove da sempre ha vissuto), ritenendo che, seppur sia possibile che il cambio d’abitazione arrechi alla bambina qualche difficoltà a causa del distacco affettivo dalla casa ove ha vissuto e dall’ambiente domestico ove ha trascorso undici anni con i genitori, in assenza di elementi che inducano a ritenere che ciò possa comportare un grave pregiudizio alla stessa, appare estremamente più meritevole di tutela l’interesse del padre a restare nella propria abitazione.
In considerazione poi, da un lato del risparmio di spesa che deriva all’uomo dal continuare a vivere nella propria casa, e dall’altro dai maggiori costi che la madre collocataria dovrà affrontare per reperire altra casa adeguata alle esigenze della minore, il contributo paterno al mantenimento della stessa viene elevato da400 a1000 euro mensili.
La sentenza è molto apprezzabile perché correttamente esclude l’automaticità dell’assegnazione della casa familiare al genitore collocatario del minore. Infatti, nessuna automaticità in tal senso si rinviene nel dato testuale dell’art. 155 quater c.c., il cui primo comma esordisce affermando che “il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli”.
Prioritariamente quindi, non automaticamente. Il che significa che il Giudice, chiamato a decidere sull’assegnazione della casa, deve certamente considerare il prevalente interesse del minore a conservare l’habitat domestico, da intendersi come il centro degli affetti, degli interessi e delle consuetudini in cui si esprime e si articola la vita familiare (cfr., ex plurimis e tra le ultime, la sentenza n. 14553 del 2011).
Ciò non esclude tuttavia che anche altri interessi, ed in particolare quelli del genitore non collocatario, possano essere presi in considerazione e, alla luce delle circostanze di fatto, possano essere ritenuti prevalenti rispetto a quello del minore, giustificando l’attribuzione del godimento della casa in deroga alla consolidata prassi che riconosce tale diritto alla prole.