La Cassazione, con la sentenza n. 16094 del 21 settembre 2012, respingendo il ricorso di un ricco industriale condannato a versare per la moglie un assegno di mantenimento di 8.000 euro, fa il punto sui casi in cui il giudice può disporre d’ufficio le indagini sul reddito delle parti e sul loro reale tenore di vita.
Infatti, in sede di divorzio, il Giudice può sempre può sempre disporre tali indagini, ma deve farlo se non sono state raccolte altre prove sufficienti a determinare l’assegno.
L’esercizio del potere di disporre indagini patrimoniali con l’ausilio della polizia tributaria, cotinuano i giudici, che costituisce una deroga alle regole generali sull’onere della prova, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, e non può essere considerato come un dovere imposto sulla base della semplice contestazione delle parti in ordine alle loro rispettive condizioni economiche; tale discrezionalità, tuttavia, incontra un limite allorquando vi siano istanze delle parti relative al riconoscimento e alla determinazione dell’assegno e nel giudizio non siano state raccolte prove sufficienti. In questi casi, il giudice ha l’obbligo di disporre accertamenti d’ufficio, avvalendosi anche della polizia tributaria, per far luce sui redditi e i patrimoni degli ex coniugi in maniera tale da essere in grado di determinare l’assegno divorzile.