Il cointestatario di un conto corrente che, pur potendo compiere operazioni separatamente, preleva o effettua pagamenti in misura eccedente il tetto di pertinenza, senza il consenso, espresso o tacito, degli altri cointestatari, commette il reato di appropriazione indebita.
In tal senso si è pronunciata la Cassazione penale con la sentenza n. 29019 del 4 luglio 2014, nel caso di un uomo che aveva prelevato l’intera somma depositata in un fondo di investimento intestato alla madre defunta e allo stesso, poiché almeno la metà della stessa somma spettava a tutti gli eredi.
Secondo la Corte, sussiste “il delitto di appropriazione indebita a carico del cointestatario di un conto corrente bancario, il quale, pur se facoltizzato a compiere operazioni separatamente, disponga in proprio favore, senza il consenso espresso o tacito degli altri cointestatari, della somma in deposito in misura eccedente la quota parte da considerarsi di sua pertinenza, in base al criterio stabilito dagli artt. 1298 e 1854 cod. civ., secondo cui le parti di ciascun concreditore solidale si presumono, fino a prova contraria, uguali”.